mercoledì 21 gennaio 2009

Un esercizio pratico di ricettività

Prima di iniziare a descrivere l’esercizio, un po’ di ripasso della teoria.

Alcune parole di Vittoz:

  • La ricettività è tutto!
  • E’ la facoltà che noi abbiamo di ricevere le vibrazioni del mondo esterno!
  • E’ uno stato attivo e cosciente, non passivo!
  • Bisogna possedere una cosa profondamente, assimilarla lentamente, e tutto questo in modo profondo e sincero con se stessi, più che farlo col ragionamento.

Per poter eseguire tutto ciò in modo corretto, occorre porsi in ricettivvità e sbarazzarsi dell’idea che si frappone con la sensazione esatta delle cose. E’ solo allora che le idee saranno esclusivamente vostre perché non saranno più cerebrali, ma saranno parte di voi.

La ricettività è essenziale nel Metodo Vittoz.

Senza aver realizzato la ricettività, ogni esercizio diverrà assolutamente inutile.

Gli esercizi di ricettività provocheranno:

  • La ripresa della coscienza di se
  • La padronanza del proprio corpo e delle facoltà corporali
  • Il riposo del sistemo nervoso, muscolare, ecc
  • L’oggettività delle impressioni ricevute dal mondo esterno
  • L’arricchimento di tutta la persona, grazie alla ricettività

Da soli gli esercizi di ricettività, sono sufficienti a ristabilire l’equilibrio psicologico di una persona in quanto contengono in se stessi il germe anche di tutti gli altri esercizi (concentrazione, eliminazione, volontà).

Gli esercizi di ricettività non sono difficili o faticosi, tutt’altro … sono riposanti.

Richiedono semplicemente la sostituzione del pensiero con la sensazione fisica esatta.

Sentire senza pensare.

La sensazione a cui allude Vittoz è una pura impressione fisica.
All’inizio si pensa e si immagina, è inevitabile, ma non bisogna scoraggiarsi. Occorre perseguire nella ricerca della pura sensazione alla quale si arriverà, ripeto, con l'aiuto e la guida del praticien.

Occorre percepire la sensazione esatta.
Questa sensazione si produce ad esempio al livello della parte del nostro corpo che si sente (ad esempio il ginocchio) e non nel nostro cervello.
Per questo diventa assai importante il controllo effettuato da un praticien sulle nostre onde cerebrali: queste potranno effettivamente segnalare se siamo o no ricettivi.

Vediamo una descrizione - per quanto possa valere la descrizione – di una seduta di ricettività.

E' importantissimo capire che questa descrizione non può sostituire la sensazione diretta e l'assoluta necessità del praticien che verifica le vibrazioni cerebrali del soggetto.
Richiamo inoltre l'attenzione del lettore alla semplicità degli atti compiuti; potranno sembrare banali e puerili, ma nella realtà sono estremamente potenti.
Tutto dipende dalla pratica esecuzione presso un praticien.

L’esercizio andrà eseguito seduti comodamente su una poltrona.

Esercizio:

  • Seduti.
  • Chiudete gli occhi.
  • Cercate la posizione più comoda ed equilibrata possibile, in modo di sentirsi il più possibile a proprio agio.
  • Le ginocchia piegate, i piedi appoggiati a terra con la pianta dei piedi.
  • Le palme delle mani appoggiate comodamente sopra le cosce.
  • Dolcemente, senza forzature, passare alla presa di coscienza sensibile del vostro corpo, che esiste in questo momento, nella posizione in cui si trova.

Non preoccuparsi del fatto che ci siano dei pensieri che affollano ancora la nostra mente.
Nel prosieguo dell'esecuzione sistematica degli esercizi spariranno.

Sentire:

  • Il peso del proprio corpo sulla poltrona
  • La pressione dello schienale contro la nostra schiena
  • Il contatto dei propri piedi col suolo, le braccia distese e il palmo delle nostre mani a contatto con le nostre cosce
  • Provare a sentire i rumori che provengono dall’ambiente circostante senza sforzo, semplicemente aprire le proprie orecchie ai rumori

Sentire:

  • La pianta dei piedi
  • Il peso del proprio piede che appoggia al suolo
  • Le articolazioni della propria gamba destra a partire dalle dita del piede, fino alla caviglia, e poi su su fino al ginocchio destro; il tutto molto lentamente e sentendo non pensando alla parte (è comune che si senta una sensazione di leggero calore sulla parte oggetto del nostro sentire)

Sentire:

  • Le nostre due ginocchia che si rilassano, si sciolgono
  • Le cosce nel loro volume che si rilassano

Sentire:

  • Il vostro bacino che si distende, a partire dalla testa del femore
  • Quindi al vostro intestino e a tutti i suoi organi interni
  • I reni, lo stomaco, il fegato

Il tutto con molta dolcezza.

Sentire:

  • Tutta la muscolatura del vostro addome
  • L’anca sinistra
  • L’anca destra
  • La muscolatura lombare
  • Le vertebre lombari, scendendo all’osso sacro e al coccige

Sentire:

  • Il nostro busto che si rilassa
  • La muscolatura del nostro petto
  • Le clavicole
  • Lo sterno e le costole
  • Il fianco destro
  • Il fianco sinistro
  • Tutte queste parti che si rilassano
  • L’epidermide e la muscolatura della schiena
  • Le scapole
  • Le vertebre e le costole sulla nostra schiena e davanti sul nostro petto

Sentire:

  • I nostri organi interni, il cuori, i polmoni, i bronchi
  • Il tutto senza forzature, molto dolcemente, assaporando il sentire del nostro corpo

Sentire:

  • Le nostre spalle che si distendono
  • L’articolazione della spalla destra e poi giù fino al nostro gomito
  • Il nostro avambraccio e poi giù sino al polso e quindi alle nostre dita della mano destra
  • Lo stesso con il nostro braccio sinistro

Sentire:

  • La base del nostro collo che si distende
  • I muscoli a destra e a sinistra del collo fino alla parte anteriore

Sentire:

  • L’insieme della nostra testa che si distende
  • La nuca è rilassata
  • Le nostre orecchie rilassate
  • La mascella fino al mento è rilassata

Sentire:

  • Il nostro viso è disteso
  • Il mento
  • Le guance
  • Le palpebre
  • Il naso a partire dall’alto fino alla punta e alle narici
  • Le orbite degli occhi
  • La fronte e i muscoli della fronte

Sentire:

  • Distesa la propria testa, il cranio, il cuoio capelluto, il nostro cervello, la lingua e il palato

Sentire:

  • L’unità di tutto il nostro corpo disteso
  • In stato di riposo
  • Completamente disteso nella posizione comoda in cui si trova

Sentire:

  • Le nostre narici che inspirano l’aria
  • I polmoni che si riempiono d’aria
  • Il nostro torace che si dilata per aspirare l’aria
  • Mantenere un momento l’aria inspirata
  • Espirare lentamente dalla bocca
  • Rilasciarsi completamente fino ad espirare completamente
  • Ripetere per tre volte

Aprire gli occhi:

  • Prendere coscienza di quel che vediamo, accogliendo la sensazione del vedere
  • Come dice Vittoz: Guardate come fa un bambino al suo risveglio
  • Prender coscienza semplicemente dei colori e degli oggetti come li vediamo senza associare nessun pensiero ad essi; semplicemente accogliamo in noi la loro presenza, senza ricercarne dettagli
  • Occorre come dice Vittoz: aver l’impressione che si assorbono gli oggetti senza sforzo apparente

Chiudere gli occhi e aprire le orecchie:

  • Prender coscienza dei rumori che giungono alle nostre orecchie, semplicemente accogliendo dentro di se i suoni che giungo alle nostre orecchie
  • Come dice Vittoz: senza forzare l’attenzione

Sempre con gli occhi chiusi:

  • Assaporare l’unità del proprio corpo rilassato sulla poltrona, comodamente appoggiato allo schienale, sentendosi tutto comodo
  • Allungare davanti a noi il nostro braccio destro sollevandolo dalla nostra coscia sulla quale è appoggiato e sentendo la sensazione fisica che passa nel nostro braccio che sia alza e si distende davanti a noi; riportare il braccio destro nella posizione originaria (palma appoggiata sulla nostra parte superiore della coscia
  • Lo stesso gesto con il braccio sinistro
  • Rifare il gesto con il braccio destro, prendendo particolarmente coscienza di quel che provoca il movimento sull’articolazione della spalla destra
  • La stessa cosa con il braccio sinistro
  • Rifare il gesto con il braccio destro, prendendo particolarmente coscienza di quel che provoca il movimento sul piegare il braccio, il gomito, il polso e le articolazioni della mano e delle dita
  • La stessa cosa col braccio sinistro
  • Sollevare leggermente la gamba destra
  • Sentire l’articolazione della testa del femore che partecipa al movimento, il ginocchio, il polpaccio, la caviglia, il piede con tutte le articolazioni e le dita del piede
  • Ripetere l’esercizio con la gamba destra

La descrizione di un esercizio di Vittoz potrà aver strappato un sorriso ... con vari significati ... al lettore ... e tuttavia, pur nell'estrema semplicità, si realizzano nella pratica i benefici effetti come già ampiamente descritto.

(liberamente tradotto e ridotto da P.M. Charles Jegge - Présentation des execices du Docteur Vittoz - Ed Tèqui - Paris)

Ricettività ed emissività

Ricettività ed emissività.

Che cosa si intende con questi due termini?

Il nostro cervello opera su due piani:
  • Una posizione di ricettività quando gli pervengono le percezioni sensoriali
  • Una posizione di remissività quando elabora pensieri e li esterna

Si può assimilare quest’attività alla respirazione ed alle sue due fasi di inspirazione e di espirazione. Ma è importante notare come le due fasi siano necessarie entrambe: non si può pensare ad una respirazione fatta solo di inspirazioni o espirazioni.

Lo stesso accade per l’attività cerebrale.
Un protrarsi di emissività può causare alla lunga un eccessivo affaticamento cerebrale.
Cerchiamo di approfondire l’argomento.
La posizione iniziale è quella di ricettività: è quella del bambino che si apre alla vita; egli riceve delle sensazioni che gli forniranno il contatto col mondo esterno. Tramite la vita, l’udito, il tatto, il gusto egli mette insieme tutte quelle conoscenze che poi potrà esternare tramite il linguaggio e il pensiero. Poco a poco la ricettività cede il passo alla remissività: è tutto perfettamente normale.

Bisogna tener presente che la ricettività non è qualcosa di passivo: ricevere significa accettare, accogliere, possedere una sensazione.
Siamo in ricettività quando accogliamo per noi stessi, per il nostro piacere un’immagine, un suono, un odore, quando ci sentiamo all’interno del nostro corpo. Siamo in remissività quando è il pensiero che dirige gli atti e utilizza le sensazioni a fini pratici.Nel caso in cui il controllo cerebrale sia sbilanciato e quindi l’emissività prenda il sopravvento, ecco che quest’ultima strangola ricettività. Il soggetto continua ben inteso a svolgere la sua azione di ricettività, almeno per quanto possibile, ma le sensazioni sono esasperate da un nervosismo irrazionale, spesso sono confuse.

Non si ha più una realtà oggettiva ma piuttosto un’apparenza soggettiva.

Abbiamo due modi per conoscere un oggetto:

  • Il primo per contatto diretto
  • Il secondo per conoscenza discorsiva

Il primo è sensoriale, imparziale e assoluto.

Il secondo è ragionato, arbitrario e relativo.

Se si prende in mano un fermacarte di marmo color smeraldo le nostra mano ne sente il peso, la superficie, il volume, se è dotato di spigoli arrotondati o meno; i nostri occhi ne registrano il colore e le sfumature delle vene del disegno.
Se al contrario si legge la descrizione dello stesso fermacarte fatta da un terzo, voi saprete che l’oggetto è duro, peso, freddo, con spigoli arrotondati, che il colore è un verde acceso con sfumature in verde più chiaro.

Sulla base di questo ci costruiremo mentalmente una immagine dell’oggetto per analogia a oggetti similari che abbiamo avuto modo di toccare e vedere.

Questo ci fa capire il concetto di Vittoz che l’idea può indurre in errore, ma la sensazione netta mai.

La pratica della ricettività porta a questi effetti benefici:

  • Una riduzione della tensione nervosa: nel momento che ci accingiamo a pulire un vetro, nove volte su dieci, eseguiamo l’azione con un eccessiva forza. La ricettività insegna a calibrare le nostre forze senza disperderle
  • Una liberazione mentale: la ricettività no elimina il soggetto dei nostri tormenti, ma il rimuginarli incessantemente
  • L’obiettività: ogni giudizio implica emozioni nel nostro corpo; la risposta emozionale, l’amor proprio, la sensibilità soffiano sul fuoco dell’emissività.
  • La ricettività permette una corretta apertura al mondo e agli altri compreso il nostro antagonista; siamo più disponibili verso il nostro prossimo
  • Il possesso di sè e del mondo: le nostre sensazioni ci appartengono pienamente. Questo non da discredito alle acquisizioni culturali. Tuttavia cosa vale tutta la scienza di uno studioso che conosce tutto del cielo, ma non ne ha mai contemplato la bellezza semplicemente guardandolo
  • La perfezione dell’immagine mentale: l’idea di ciò che si fa può falsare la nostra interpretazione. L’idea falsa assoggetta, mentre la verità libera. L’impressione del vago spesso demoralizza, ma l’impressione esatta da sicurezza. La memoria si rafforza enormemente
  • La ricettività fornisce riposo e tonifica l’emissività
  • La sensazione pura assicura una corretta qualità del cosciente e permette un equilibrio del controllo cerebrale

Al contrario una remissività eccessiva genera:

  • Fatica cerebrale, provocando incapacità della concentrazione, tensione nervosa, vagabondaggio cerebrale, torpore, confusione, insonnia
  • Disordini psichici, quale depressione, angoscia, ossessione, sdoppiamento
  • Disordini psicosomatici che colpiscono il sistema neurovegetativo, il tubo digerente, ed altri organi interni

Dobbiamo quindi concludere che la ricettività è essenziale o come diceva Vittoz: la ricettività è tutto.

lunedì 19 gennaio 2009

Approfondiamo gli atti coscienti

Come possiamo realizzare un atto cosciente?

Semplicemente applicando noi stessi in ciò che facciamo.
Ci si accorgerà che tutto questo consiste in una incessante attività rivolta ad esaminare tutto ciò che stiamo facendo.

Ogni scelta, ogni attività, ogni movimento, ogni pensiero diventa oggettivato da questa osservazione.
Non solo dovremo osservare come ci comportiamo, ma come siamo. Dovrà essere una sincera osservazione di noi stessi, senza critiche, senza emozioni, senza lodarci o biasimarci, senza amare o non amare, senza lasciarci influenzare da ciò che ci circonda, in modo da poter applicare il nostro spirito a ciò che facciamo e sentirci completamente presi da ed in questo risveglio.

Se non ci rendiamo conto di ciò che facciamo non realizziamo un atto cosciente.

Non dobbiamo fabbricare degli atti coscienti, ma dobbiamo ricondurre gli atti abituali della nostra vita alla nostra attività cosciente.

La semplicità degli atti da eseguire potrebbe apparire puerile.
Come affermato, è forse questo che rende scettiche molte persone che si avvicinano al metodo. La perfetta semplicità e puerilità di certi esercizi, induce le persone e ritenere impossibile che l’esecuzione di atti così semplici possano far scomparire sintomi gravi quali nervosità, ansia e angoscia.
La realtà è invece che questa semplice tecnica porta a un così pregevole risultato.
Vediamo le caratteristiche dell’atto cosciente:
  • L’atto controllato deve essere cosciente ossia il paziente deve essere assolutamente presente a ciò che sta facendo, senza distrazioni•
  • Durante l’atto il suo cervello deve essere totalmente ricettivo: il cervello deve sentire l’atto e non pensarlo

Occorre ricordare sempre l'affermazione del Dotto Vittoz: "la ricettività è tutto".

Il paziente deve prendere l’abitudine di veder bene ciò che guarda, di sentir bene ciò che ascolta e di capir bene ciò che sta facendo.
Attraverso la coscienza degli atti impara a vivere nel presente, perde la cattiva abitudine di vivere nel rimpianto del passato o nel timore dell’avvenire.

Aver coscienza di un atto, non è pensarlo, ma sentirlo.

Sbarazzandosi dell’idea che si interpone nella sensazione esatta delle cose. La maggior parte delle persone, pur senza rendersene conto, eseguono l’atto in modo automatico e quindi non lo sentono.
Ne consegue che vedono a metà, odono a metà e toccano a metà.
La vita e le azioni che ne fanno parte, vengono vissute in maniera automatica.

E’ necessario che si arrivi a sentire senza pensare.

Non importa da quale parte arrivi la sensazione, vista, udito, tatto, gusto, … la regola è sempre la stessa indicata.
L’obiettivo è quello di un atto cosciente che dura anche solo un secondo, ma in quel secondo il nostro cervello sta in completo riposo, in assenza di pensiero. Questo realizza il primo passo, un primo controllo, quello della sensazione dell’atto.

Si potrebbe obiettare che ciò è ben poca cosa, ma quanti benefici effetti ne discendono.La cosa importante è capire bene cosa è un atto cosciente.

Si sente spesso dire trionfalmente: “L’atto cosciente … certamente …. L’ho svolto spesso come mi avete indicato! … Ad esempio quando chiudo la porta, io dico dentro di me ‘ Io chiudo la porta ’ …. E così via….”.
Tutto sbagliato.
Non è necessario, anzi è essenziale non dire nulla.
Bisogna sentire l’atto compiuto, sentirlo col tatto, con la vista, con l’udito, con quella sensazione interna che è il senso muscolare.
Bisogna arrivare, come dire … a bagnarsi di sensazioni, ad esservi penetrati come l’aria entra nei nostri polmoni. E quest’azione ripetuta costantemente anche per pochi secondi porterà dei benefici inimmaginabili. L’importante è eseguire un vero atto cosciente. Poco a poco il paziente modificherà il suo atteggiamento mentale con un lavorio costante e insensibile e poco a poco le idee anormali, le ossessioni, si dissiperanno come neve al sole. Gli scrupoli non attecchiranno più in un cervello concentrato sulla vita reale.

Non ci si può stancare nel ripetere che è sorprendente come una cosa così semplice possa produrre dei risultati così stupefacenti. Ma è facile rendersi conto che la realtà del momento è raramente dolorosa, a parte i momenti di dolore fisico o morale intenso. Se si è assorbiti da una percezione che proviene dall’esterno e non concentrata su se stessi, non si soffre, ci si rilassa.
Cosa può esserci di spiacevole nel guardare una nuvola che passa, ascoltare un rumore, toccare un oggetto?
Eppure noi riusciamo a trovare il mezzo per inserire anche in queste semplici azioni della sofferenza con le nostre idee, le nostre azioni, le nostre emozioni che rendono penoso quel bel cielo blu che deve solo esser guardato.

E’ il passato e il futuro nel quale noi viviamo di più e il presente scorre vicino a noi, presente al quale non accordiamo che un attenzione distratta.

Quanto alla esecuzione degli atti coscienti da parte del paziente , dobbiamo fare alcune osservazioni.
Se i pazienti vengono lasciati a se stessi, potrebbero incorrere in esperienze che li scoraggiano:

  • Alcuni cercheranno ostinatamente la sensazione al punto di immaginarla anziché attenderla e accettarla
  • Altri intellettualizzano la loro quiete accompagnando i loro atti con delle remissività tipo “Ecco, mi siedo, mi alzo, cammino, quardo il cielo” … emissività in luogo della ricettività
  • Altri ancora si sdoppiano nella loro funesta abitudine di percepire una sensazione, ma abbandonandosi contemporaneamente a pensare ad altro

Come ho detto non è necessario che il praticien segua costantemente il soggetto/paziente.
Anzi, diventa negativa la sua presenza oltre il necessario, ossia avergli insegnato come fare gli esercizi, verificandone la corretta esecuzione con le vibrazioni cerebrali.
La cosa migliore è che tale verifica avvenga saltuariamente.

E’ consigliabile inoltre che all’inizio al paziente vengano affidati degli atti coscienti molto semplici ed elementari:

  • Posare gli occhi su un oggetto per ben vedere
  • Ascoltare il rumore di un’auto che passa per ben ascoltare
  • Toccare degli oggetti

Successivamente si potrà passare ad atti più complessi come:

  • Alzare la mano sinistra per vedere l’ora sul proprio orologio da polso e ascoltarne il ticchettio: si stimola così l’attenzione al movimento, alla vista e all’udito
  • Aprire una finestra: si stimola e attira l’attenzione al movimento di aprire la finestra, sentire la resistenza che oppongono le ante all’apertura, scostare le tende, sentire il soffio d’aria che ci giunge sul volto, godere della vista che ci si presenta affacciandosi alla finestra, ecc.
  • Passeggiare per la strada: ci viene fornita la sensazione di sincronizzazione dei nostri passi, del movimento del nostro piede, della flessione della caviglia del ginocchio, la sensazione dei nostri muscoli che partecipano all’azione del camminare, la presa di coscienza del nostro piede che si appoggia su un selciato liscio e regolare oppure irregolare, l’ascolto dei rumori delle auto che passano sulla strada vicino a noi, della gente che incrociamo, delle vetrine davanti alle quali passiamo davanti; vengono stimolati quasi tutti i nostri sensi, e tali sensazioni devono penetrarci e dobbiamo cercare di assorbirle, sentirle.

Non è importante che sempre e comunque tutti i sensi siano coinvolti; l’importante è che tutti siano predisposti a ricevere e accettare le sensazioni.
Essenziale è poi la ripetizione quotidiana ed il più frequente possibile, degli atti coscienti.

A questo proposito è importante non dimenticarsi e soprattutto ritenersi scusati “perché non si è avuto tempo o abbastanza tempo per eseguirli”.
Questo è assolutamente intollerabile.
L’atto cosciente non richiede un tempo supplementare perché lo si può eseguire ed applicare a qualsiasi atto della nostra vita quotidiana.
L’essenziale, come d’altronde lo è tutto il metodo, è il volerlo, ricordarsi di farlo, prender l’abitudine ad eseguirlo il più frequentemente possibile fino a che non diventi parte di noi e della nostra quotidianità.

Occorre ricordarsi sempre che senza il nostro impegno e il nostro lavoro non potremmo ottenere nulla.

Ecco ancora alcuni esempi col modo di procedere:

  • Vista: deve lasciarsi penetrare dalle vibrazioni che provengono dall’oggetto che guarda; si deve avere l’impressione di assorbire l’oggetto che si guarda. Non deve essere una ricerca di dettagli
  • Udito: le stesse osservazioni che per la vista: occorre lasciarsi penetrare dal suono che si ascolta, senza un’attenzione forzata all’ascolto
  • Tatto: la prima sensazione ricevuta sarà quella più cosciente: l’oggetto sarà freddo o caldo, duro o molle, ecc
  • Controllo dei movimenti: ogni movimento deve essere percepito nella sua interezza non eseguito in modo automatico
  • Il camminare: l’impressione deve essere di leggerezza e sicurezza. Si deve partire con la percezione di posare il piede al suolo, di eseguire il movimento con la gamba e quindi col corpo intero, adattando e facendo partecipare attivamente la respirazione, la vista e l’udito


A parte debbono essere considerati gli atti volontari che debbono essere svolti come dice la parola stessa, volontariamente ossia è il paziente che decide di farli: si alza o va a letto perché ha deciso volontariamente di alzarsi o di andare a letto.

Rpeto ancora una volta che tutto questo potrebbe sembrare troppo semplice e puerile, non dobbiamo stancarci di notarlo e ripeterlo enello stesso tempo di saperlo accettare serenamente.

In realtà il soggetto/paziente riacquista il potere su se stesso, si sente più calmo ponderato e il suo cervello impegnato in qualcosa di ben definito si angoscia sempre di meno.
Riacquista fiducia in se stesso e prende l’abitudine a controllarsi.

Riassumendo un movimento controllato provoca:

  • piena coscienza dell’atto
  • piena consapevolezza che l’idea corrisponde all’atto
  • la sensazione che l’atto è voluto
  • e questo permette al paziente di vivere nel presente e di porre il suo cervello in uno stato di unità e riposo.

Le sensazioni che si provarono sono quelle che sono, senza essere deformate dalle idee: il paziente aumenta la sua ricettività.

venerdì 16 gennaio 2009

La rieducazione funzionale e gli "atti coscienti"

Il trattamento si esplica in due forme:
  • Modificare il meccanismo cerebrale con una rieducazione funzionale
  • Modificare lo stato mentale con una rieducazione psichica


Vediamo per prima la rieducazione funzionale.

La rieducazione funzionale comincia con gli « atti coscienti ».

Dobbiamo uscire dalla nostra vita vissuta in modo automatico per entrare in una vita cosciente.
Siamo ipnotizzati da tutto ciò che ci è intorno, siamo vittime dei nostri nervi e non ci sappiamo adattare ai nostri dispiaceri né alle nostre delusioni; anche nelle nostre gioie, ci preoccupiamo di noi stessi, parliamo solo di noi, corriamo di qua e di la per dimenticarci, e ci attacchiamo sempre più alle cose alle quali cerchiamo di sfuggire, come un cane che si morde la coda.

Col tempo e l’esercizio si capirà che l’importante è occuparsi di noi del presente nel quale aver buoni motivi per vivere, esser felici, forti e trovare interesse nella vita.

Il primo passo per comprendere la nostra vita interiore – potrebbe esser contraddittorio affermarlo – è quello di esser coscienti in tutto ciò che facciamo.

Questa coscienza è ricettività, adesione alla realtà.

Un esempio: apro la finestra in un bel mattino di sole.
Sono assorto nei miei pensieri, concentrato su di me stesso, penso solo a me e ai miei problemi e non mi accorgo che marginalmente del levarsi del sole.
Non ho fatto un atto cosciente.
Sono riverso su di me stesso, non ho oggettivato l’evento.

Un uomo normale deve esser curioso della sua vita interiore ed esteriore; non può comprendere l’una senza l’altra.
Sono inseparabili.
Dobbiamo entrare in uno stato di presa di coscienza.

In caso contrario la vita interiore sfugge insieme a quella esteriore senza che ci se ne accorga.
Siamo preda di sensazioni e di pensieri che si accavallano l’un sopra l’altro. Siamo degli un automi.
Gli eventi i pensieri scivolano sul subcosciente senza esser registrati dal cosciente e schiacciati dal subcosciente creano problemi perché sono separati dal contesto reale.

L’atto cosciente diventa quindi un atto di esteriorizzazione, uno stato sano, felice, normale.
Il soggetto impara a farli diventare un’abitudine.
Devono diventare un riflesso.

Stabilire degli « atti coscienti », è controllare alcuni degli atti compiuti durante il giorno (camminare, alzarsi, aprire una porta, guardare una foto, una nuvola che passa, odorare un fiore).
L’ « atto cosciente » appartiene al dominio delle sensazioni.
Il soggetto deve essere completamente presente a quello che sta facendo, « sentire » l’atto e non pensarlo: ciò in quanto l’atto cosciente ha lo scopo di sospendere momentaneamente il pensiero, anche se solo per qualche secondo.
Il cervello deve essere unicamente ricettivo e la sensazione pura occupare tutto il campo della coscienza.
E’ necessario in qualche modo bagnarsi nelle sensazioni, qualunque sia l’origine: suono, colore, odore.
Dobbiamo considerare che non si tratta di una rieducazione degli organi dei sensi, ma di una rieducazione delle funzioni sensoriali.

Lo sviluppo della ricettività cosciente occupa un posto fondamentale nel metodo.
Non sarà mai sottolineato abbastanza.

« La ricettività è tutto », diceva il dottor Vittoz.

Dunque con l’aiuto dei primi esercizi, il praticien rieducherà la ricettività del soggetto, invitandolo a vedere bene il colore, l’oggetto che gli presenta, ad ascoltare bene i suoni che gli pervengono, a provare pienamente le sue sensazioni.

"Guardate! Ascoltate! Toccate!"

La prima volta che lo si prova si raggiunge uno stato di calma e di sicurezza, si riconosce che ci si possiede completamente.
Come ho detto in altra parte, è assai importante questa sensazione alla quale si giunge solo se guidati dal praticien; sensazione che ci permetterà di capire che l'esercizio è stato eseguito nel modo corretto.

Ma attenzione: non dobbiamo preoccuparci di realizzare l’atto cosciente.
L’atto cosciente forzato, voluto rende dubbiosi e ci affatica.
Esser coscienti, applicarsi all’atto che stiamo facendo è riposante, resistere invece diventa fatica.
Se non siamo in grado di svolgere un atto cosciente è perché siamo concentrati su noi stessi, la nostra vita, concentrata in noi stessi, è più importante di noi.

Accettare di esteriorizzarsi rappresenta un’idea orribile per molte persone, per il fatto che sono concentrate in loro stesse e sono ancora più impressionate dal fatto che non possono mantenere la loro doppia vita. Rinunciare ad una vita irreale per una reale è il mezzo per raggiungere l’equilibrio.

Val la pena appronfondire ancora quanto appena espresso.

Queste persone ci dicono spesso: “Il dimenticarsi di sé stessi è un bel precetto, ne capisco l’utilità e sono degli anni che prego di arrivarci, ma come risultato sono ancor più assorbito da me stesso e conduco un’esistenza sterile e paralizzata? Cosa fare? …”

A questa domanda e a queste persone si può rispondere che il mezzo esiste e che è rappresentato dal Metodo Vittoz: si tratta in sostanza di ristabilire il controllo cerebrale, la padronanza del cosciente sull’incosciente.

Questi due termini sono essenziali e vanno debitamente compresi.
Sul cosciente abbiamo poco da dire: è il riassunto della nostra vita psichica quale come la percepiamo, ossia il nostro giudizio, la nostra ragione, la nostra libertà.
Al contrario la parte incosciente e come un mare del quale si vedono delle piccole onde che ne increspano la superficie, ma con abissi profondi e insondabili dal quale possono sorgere forze di potenza insospettabile.
Talvolta si dice di una persona preda di queste forze insondabili: “non lo si riconosce più”.

Per una buona salute psichica è necessario che le forze incoscienti siano sottomesse alla padronanza del se cosciente.

Si può assomigliare il tutto a una carrozza trainata da un cavallo. Il cocchiere è il cosciente. Quando il cocchiere si addormenta o si distrae, il cavallo va a destra o sinistra, dove lo porta la sua paura o la sua fantasia, e se il cocchiere non è accorto, potrà finire in un fosso dal quale poi faticherà non poco ad uscire.

Spesso ci si illude che il vagabondaggio cerebrale sia un riposo per la mente, si considera la volontà come uno sforzo e l’inerzia un piacere.
Per capire la portata del fenomeno pensiamo a una forza da applicare su un punto A.
Se la si applica integralmente sul punto A essa darà il massimo effetto.
Al contrario se la si applica contemporaneamente su due punti A e B, la divisione della forza sui due punti A e B ne diminuirà l’azione.
Così anche lo sdoppiamento che avviene nella nostra vita quotidiana che spesso viene considerato come utile e proficuo.

Come diventa difficile lo scrivere una lettera se quando siamo appena all’inizio si lascia la propria mente pensare già alle frasi di chiusura. Ben presto si diventa nervosi, tesi, si perde la concentrazione su quel che si voleva scrivere, finché alla fine, scoraggiati, buttiamo la penna riconoscendoci incapaci di condurre a buon fine l’impresa.

La forze di un ammalato di nevrosi sono come un fiume che si disperde in tanti piccoli rigagnoli che alla fine si perdono nella sabbia. E quel che è peggio è che questo terreno è un luogo fertile per le piante maligne: l’ossessione, lo scrupolo e l’ansia. In particolare lo scrupolo è un fenomeno assai frequente.
Quante volte un nevrotico ritorna sui suoi passi per verificare se ha chiuso la porta di casa e domandandosi con ansia “l’ho chiusa?” … e questa stesso procedere si ripresenta sotto tante forme che conducono il soggetto ad un continuo domandarsi in una tortura incessante.

La vita inoltre è piena di luoghi comuni come vicissitudini, dispiaceri, dolori, problemi di denaro, solitudine, crisi religiosa, fatica cerebrale, surmenage fisico e fattori di tensione come depressione, timori, preoccupazioni, ansietà, insonnia che attentano al controllo cerebrale.

L’uomo sano reagisce più o meno rapidamente a secondo della sua natura.
Ma se intervengono fattori di debolezza, ereditarietà, ed altro il dispiacere si trasforma in ossessione, la preoccupazione in angoscia, i problemi spirituali in scrupoli, in un parola si esagera tutto.
A questo si aggiunge che la malattia si può presentare con contorni eclatanti o sommessamente lavora in sottofondo.
Se si esamina il fenomeno allora si potrà vedere che l’azione è stata svolta in modo automatico dalla parte incosciente, “la bestia”, mentre la parte incosciente, “l’altro”, vagabondava lontano da là.
Il soggetto non era presente nel momento dell’atto.
Il soggetto allora si tormenta di aver perduto la memoria, di essere in decadimento mentale, mentre il motivo è semplicemente un errore di fondo che però lo potrebbe portare col tempo alla nevrosi, mentre l’utilizzo di semplici tecniche possono farlo guarire in modo assai semplice.

Il controllo cerebrale

Abbiamo detto che "il praticien persegue uno scopo ben definito: modificare il meccanismo cerebrale con una rieducazione funzionale", ma che cosa s’intende per controllo cerebrale?

Prima di affrontare lo studio del controllo cerebrale è importante tener conto che esistono due centri differenti:
  • Cervello conscio o oggettivo
  • Cervello incoscio o soggettivo
Secondo la definizione del dottor Vittoz, il controllo cerebrale è definito "Come una facoltà inerente all’uomo normale, destinata a equilibrare il cervello inconscio e il cervello conscio".

Si può dire che il cervello incosciente è la sede della genesi delle idee, delle sensazioni e che il cervello cosciente mette a punto ossia da esso dipendono la ragione, il giudizio e la volontà.Se nell’uomo equilibrato questi due cervelli sono in perfetta sintonia, è sbagliato dire che essi debbono aver uguale intensità; si può avere una certa preponderanza dell’uno o dell’altro.
Si intende per equilibrio cerebrale normale quando ogni idea, impressione o sensazione può esser controllata dalla ragione, il giudizio o la volontà.
Questa facoltà è in parte incosciente presso l’uomo normale, mentre il malato ne ha una sensazione imprecisa, sente che gli manca qualcosa e quel qualcosa è il controllo cerebrale.Presso l’uomo normale il controllo è automatico e si sviluppa progressivamente con l’età e l’educazione.Si può immaginare cosa provoca l’assenza di controllo cerebrale: il cervello è senza freni, aperto a tutte le impressioni, fobie, senza ragionamento, giudizio. E’ completamente in balia del cervello incosciente.

In casi meno gravi si ha un controllo cerebrale insufficiente o instabile.

Le differenze sono importanti, ma in ogni caso non è necessario indagare oltre: l’importante è verificare se il controllo e sufficiente o insufficiente.
Nel secondo caso gli atti, le idee e le sensazioni non sono chiaramente percepite dal paziente che le accetta passivamente e non si rende conto che sono la causa di tutti i suoi problemi.
E non solo.
Esiste una corrispondenza diretta fra un insufficiente controllo cerebrale e l’equilibrio organico. Spesso l’evidenza di una sintomatologia su un organo del proprio corpo fa passare in secondo piano, nasconde la causa vera: il fenomeno psichico.

Le cause della psiconevrosi possono ricondursi:

    • A cause primarie quali ereditarietà, età, uso di droghe/medicinali
    • A cause secondarie in particolare a choc morali dovuti a dispiaceri, preoccupazioni e lavoro esagerato, ma anche in conseguenza a interventi chirurgici

    Le forme della psiconevrosi possono ricondursi ad una forma:

    • Essenziale: si presenta fina dalla giovinezza per accentuarsi nella maggiore età
    • Accidentale: si presenta improvvisamente spesso in concomitanza con uno choc morale o traumatico
    • Intermittente o periodica

    I sintomi psichici sono per prima cosa un’impressionabilità esagerata: il paziente non sa definire il suo stato, si lascia andare in uno stato di sogno dal quale fatica ad uscire. A poco a poco i sintomi si accentuano e l’apatia, il disgusto della vita e la fatica si manifestano più fortemente. Se lo stato di sogno è assente, si ha una forma di instabilità del pensiero che si può definire come vagabondaggio cerebrale.

    Questa instabilità gli causa una fatica incessante: è un battello senza guida, senza pilota, una continua rincorsa a ricondurre i propri pensieri sul corretto binario.
    Il malato perde fiducia in sé stesso.
    Passa la sua vita in uno stato di ansietà continua.
    Pensa solo a malattie, non è mai tranquillo e felice.
    Subentrano quindi angoscia e abulia, anche se quest’ultima è più apparente che reale in quanto più che di mancanza di volontà si può parlare di difetto di utilizzo della volontà.
    Fobie e ossessioni sono ulteriori fenomeni.

    A fianco dei sintomi psichici si possono affiancare quelli organici:

    • Il sistema vascolare
    • Gli organi dei sensi: vista, udito e tatto ne sono fortemente più o meno fortemente colpiti.

    La rieducazione del controllo cerebrale permette di ristabilire l’equilibrio, di ricreare le connessioni fra il cervello conscio ed il cervello inconscio.
    Non appena questo è stato realizzato, le vibrazioni cerebrali tornano ad essere normali.
    Il conscio domina sull’inconscio.

    Ma questo ritorno alla piena coscienza, come si realizza?

    Eseguendo gli esercizi del metodo Vittoz.

    Questi si possono praticare in tutte le circostanze, in tutti i luoghi, in ogni momento.
    Non esiste discontinuità tra gli esercizi e la vita presente: un’altra originalità del metodo Vittoz.

    Il trattamento si compone di due momenti:

    1. la rieducazione funzionale
    2. la rieducazione psichica.

    che saranno oggetto dei prossimi post.

    giovedì 15 gennaio 2009

    Le vibrazioni cerebrali


    Mi addentro adesso in un argomento di fondamentale importanza per Il Metodo Vittoz: le vibrazioni cerebrali.

    Le vibrazioni cerebrali sono una scoperta del dottor Vittoz ossia « di un movimento particolare, movimento caratterizzato da un’onda speciale » la cui natura ha posto dei problemi ai praticien ed ai neurofisiologi …
    Tuttavia essa esiste, è un dato di fatto.

    Come riportato dal citato G. Laurent-Kaeppelin:

    Questo fatto sperimentato da più di 15 anni da me e da altri può avere un’importanza capitale.
    1. Come mezzo diagnostico in tutte le malattie non organiche del sistema nervoso .
    2. Come « test » dell’attività mentale di qualsiasi soggetto malato o non.
    3. Come prova della veridicità del pensiero del soggetto.
    4. Le onde variano seguendo il dubbio, la negazione, l’affermazione

    Il rieducatore deve dunque sentire con la mano la qualità del controllo cerebrale del soggetto. E’ questo che gli permette, da un lato, di effettuare la diagnosi, dall’altro di eseguire il trattamento mediante una serie di esercizi appropriati al caso del soggetto.
    Con l’aiuto degli esercizi, si giunge alla modifica delle vibrazioni anomale del cervello, e a ristabilire l’armonia cerebrale che si rivela per opera di una certa qualità di onde (ritmo, regolarità, ampiezza, potenza).
    Da questi movimenti vibratori, percepiti dal praticien sulla base degli stati del cervello, i tracciati riportati qui di seguito ce ne danno una rappresentazione grafica approssimativa:


    Il dottor Vittoz ha rilevato molti sospetti fra i suoi contemporanei riguardo l’esistenza di queste vibrazioni, e principalmente fra i medici. E’ per questo che ha costruito un apparecchio destinato a provare la realtà di questo fenomeno. Questo tentativo non gli ha apportato i risultati sperati.
    La sua conclusione del resto è stata:«niente è meglio della mano».

    L’ « addestramento » o la rieducazione del controllo, non può essere efficace se non quando il soggetto giunge a modificare il funzionamento del suo cervello o a sostituire le sue vibrazioni anormali con delle vibrazioni normali.

    La causa delle vibrazioni anormali?
    L’instabilità del controllo cerebrale, o un certo grado d’insufficienza del controllo cerebrale.
    Il praticien persegue dunque uno scopo ben definito: modificare il meccanismo cerebrale con una rieducazione funzionale.

    La conclusione pratica è che Il Metodo Vittoz non può essere appreso semplicemente leggendolo dalle pagine di un libro o di un manuale.
    E' assolutamente necessario l'intervento di un praticien che, sulla base delle vibrazioni cerebrali percepite durante una seduta e durante l'esecuzione degli esercizi, possa verificare sul posto se e come gli esercizi stessi sono eseguiti onde predisporre gli opportuni accorgimenti e/o consigli per la corretta esecuzione.

    L'auto-esecuzione o l'auto-verifica non sono perciò possibili, almeno nell'approccio al metodo.

    E' essenziale l'aiuto di un praticien e la sua guida per l'apprendimento del metodo e dei suoi esercizi.

    E' altrettanto vero che dopo 3 o 4 lezioni il soggetto/paziente è in grado, sulla base delle istruzioni ricevute, ma sopratutto dall'esperienza diretta a ciò che gli esercizi stessi gli hanno procurato, provvedere ad effettuare gli esercizi e le altre tecniche senza l'aiuto del praticien, che risulta perciò fondamentale per un iniziale corretto approccio al metodo.
    In caso contrario il soggetto/paziente potrebbe non "sperimentare" alcunchè dagli esercizi e, ancor peggio, non sapere se gli stessi sono eseguiti bene o male, non conoscendone, per non averli provati sulla sua persona, i benefici effetti.

    Ma come vengono sentite dal praticien le vibrazioni cerebrali?
    Il praticien si pone a lato del paziente, di solito dalla parte sinistra, e con la mano posta a taglio quasi a toccare la fronte del paziente, vicino all'attaccatura dei capelli, riesce a sentire le vibrazioni del cervello del soggetto/paziente, verificandone il ritmo, regolarità, ampiezza e potenza.
    Questo sia a riposo che durante l'esecuzione di semplici esercizi fisici o mentali.
    Il praticien ottiene questo straordinario risultato sia in virtù dell'esperienza maturata nella sua professione, sia per lo stato di "ricettività" in cui si trova nel momento in cui effettua questa rilevazione.
    Il termine usato " stato di ricettività " potrà sembrare oscuro al momento, ma in seguito diventerà assai chiaro, essendo esso la base del metodo Vittoz.

    Voglio in conclusione dire che, per cercare di dare concretezza a queste mie note, proverò, seppure con le limitazioni che ho appena citate, a "descrivere" qualche esercizio, cercando sopratutto di focalizzare l'attenzione sugli aspetti metodologici.

    Ciò infatti sarà molto utile se si decidesse di voler utilizzare veramente il Metodo Vittoz, andando a lezione da un praticien!

    mercoledì 14 gennaio 2009

    A chi serve Il Metodo Vittoz?

    E' stata la seconda domanda che ho posto a Lorenzo, domanda che ha avuto una risposta sconcertante e nello stesso tempo gratificante.
    Ma riprendiamo le parole del pamphlet di G. Laurent-Kaeppelin:

    Esaminiamo ora a chi è utile il metodo Vittoz.
    A tutti!
    Chi è perfettamente normale, controllato?
    Inizialmente destinato dal suo autore ad uso esclusivo dei malati nervosi, esso è oggetto per eccellenza di un insegnamento individuale.
    In un mondo dove, quotidianamente, siamo preda di molteplici stress, noi subiamo, senza poter reagire, il ritmo discordante della vita moderna. In modo quasi struggente, i nostri contemporanei cercano di difendersi dalle aggressioni che minacciano il loro equilibrio.
    Tecnica di « sintesi e di ricostruzione », che apporta al soggetto un supplemento d’energia nervosa, il metodo Vittoz si rivela particolarmente efficace per rispondere ai bisogni del nostro tempo.
    Se, con l’aiuto degli esercizi del metodo, i malati nervosi, i sovraffaticati, gli insonni imparano a riposarsi, questi esercizi sono utilizzabili specie nel trattamento della psicoastenia e delle psiconevrosi.
    Questo in quanto il metodo ha come scopo di modificare gli stati anormali del cervello, stati che conosciamo tutti, in gradi diversi, in certi momenti della nostra vita.
    Chi, infatti, non ha mai sperimentato, al meno di sfuggita, a seguito di eventi dolorosi, di eccessivo affaticamento, o di surmenage intellettuale, questi stati di mancanza di controllo che sono:

    • lo sdoppiamento
    • la dispersione
    • la tensione o l’agitazione
    • l’apatia

    che caratterizzano la depressione nervosa ?
    I nostri atti mancano allora di chiarezza, di precisione.
    Viviamo allora nel vago, nella confusione; la memoria vacilla.
    Siamo in preda ad un turbine di idee, al « vagabondaggio cerebrale », secondo l’espressione del dottor Vittoz.

    Per il soggetto ne risulta un vero panico.

    Ma il metodo Vittoz trova ugualmente la sua indicazione nei casi più gravi di:

    • ossessione
    • fobie
    • scrupoli
    • ansia, che raggiunge il culmine nell’angoscia.

    In effetti spesso siamo sicuri di poter dire che siamo in ottima forma, arrivando anche ad offenderci se qualcuno volesse anche semplicemente azzardare l'ipotesi, il dubbio: "Sei sicuro di essere perfettamente normale, controllato?"

    Potremmo anche sentirci rispondere che i malati siamo noi!
    Potremmo anche perdere l'amicizia del nostro interlocutore!

    Ma niente paura!

    Dopo il primo attimo di panico e dopo ulteriori spiegazioni, il nostro amico avrà l'occasione per ricredersi.
    Se poi così non fosse, rispettiamo la sua opinione ... e amici come prima :-))

    Una prima domanda: Perché questo metodo è così poco conosciuto?

    Una domanda si impone a questo proposito:

    Perché questo metodo è così poco conosciuto?

    In effetti è stato il primo dubbio che ho espresso a Lorenzo dopo aver conosciuto il metodo!
    Mai avevo sentito parlare di Roger Vittoz e del suo metodo prima di allora, nè in ambito medico nè per averne letto da qualche parte.
    Eppure cominciando a leggere il pamphlet di G. Laurent-Kaeppelin, pagina dopo pagina, mi rendevo conto che non poteva essere solo un'impressione: il metodo aveva l'idea di funzionare, essere valido, risolvere tanti problemi e sopratutto senza tecniche, magari esoteriche, legate a filosofie e sopratutto in modo assolutamente naturale, utilizzando solo ciò che è già dentro di noi, solo con le nostre doti e funzionalità.

    Ma la risposta alla domanda - riprendendo il libro di G. Laurent-Kaeppelin - sta nelle parole del dottor François Ledoux:


    Nella conferenza del congresso di Villeneuve, nel 1960, egli disse: « Se il metodo Vittoz si è diffuso così poco, è perché, a causa dei suoi stessi prolungamenti dentro la vita del soggetto, esige un’esperienza sincera e prolungata da parte di colui che desidera trasmetterlo: esperienza che si acquisisce presso i medici (praticien), ma soprattutto con la ricettività con la quale accogliamo ogni istante della nostra vita quotidiana.
    Tutte le modifiche, gli arricchimenti che si è creduto utili di apportargli non sono serviti che a restringerlo, a deviarlo dal primo scopo che è di armonizzare l’uomo con i grandi fenomeni e le grandi leggi naturali. »

    In effetti, l’efficacia di questo metodo, che tende essenzialmente all’unità della persona, è condizionata dalla sua perfetta semplicità.

    Solo dopo aver iniziato la pratica del metodo ci si rende conto di questa realtà.
    Solo dopo aver iniziato con gli esercizi e dopo aver eliminato gli automatismi che affliggono la vita moderna, ci si rende veramente conto della sua semplicità ed efficacia, ma anche della necessità di dover lavorare sulla nostra persona: se si vuol ottenere qualcosa si deve lavorare ed applicarci con costanza, intensità e sincerità; l'incostanza o la supponenza che qualcosa o qualcuno possono agire al posto nostro, conducono irremidiabilmente all'insuccesso!

    Che cos'è il Metodo Vittoz ?

    Fino all'aprile del 2004 non sapevo chi fosse Roger Vittoz ed il suo Metodo.

    Mi spiace solo di aver atteso tanto tempo prima di conoscerlo.
    Quanto tempo ho perduto!
    Di quali strumenti essenziali e semplici mi sono privato, allo stesso tempo per conoscermi e trasformare in profondità la mia maniera d'essere in relazione al mondo, agli altri, a me stesso, per una vita più vera e felice!

    Devo al mio amico Lorenzo - al quale rivolgo un coloroso "Grazie!" - la gratitudine di avermelo fatto conoscere e apprezzare.

    Attraverso questo blog voglio presentare il metodo del Dottor Roger Vittoz ( in breve "Il Metodo Vittoz") mediante la mia esperienza ed avvalendomi delle citazioni delle poche, ma entusiaste persone che lo hanno avuto come maestro o come praticanti ("praticien").

    Inizio con le parole di G. Laurent-Kaeppelin (Qu'est que la méthode Vittoz? Un art de vivre. Téqui, Parigi, 1983):


    Il metodo Vittoz è un’ « esperienza ».
    Esso non si spiega. Si vive.

    Come, in effetti, sarebbe possibile racchiudere i movimenti complessi della vita negli stretti limiti della teoria?
    Entrare nei dettagli di applicazione della tecnica, con tutte le sfumature che essa comporta, richiederebbe un lungo lavoro.
    Ci prenderemo cura allora di esporre gli aspetti fondamentali.
    L’autore del metodo, il dottor Roger Vittoz, di Losanna, ha consacrato la gran parte della sua vita ai malati nervosi.
    E questo fino alla sua morte nel 1925.
    Dopo aver innanzitutto praticato l’ipnosi, molto in voga alla fine del XIX° secolo, grazie ai lavori di Charcot e di Bernheim, egli l’abbandona presto, perché questa tecnica, secondo il suo parere, « non agisce che sul subcosciente ed ha il grande inconveniente di rendere il malato più passivo » (1) .
    D’altra parte, i risultati sono effimeri.
    Proprio nel momento in cui il genio di Freud si appresta all’esplorazione dell’incoscio e all’analisi dei nostri comportamenti, il dottor Vittoz, scopre una psicoterapia fondata sullo sviluppo del conscio e della predominanza sull’inconscio: « Padronanza del cervello conscio sul cervello inconscio ».

    Il metodo Vittoz si presenta come: una tecnica di rieducazione del controllo cerebrale; una tecnica della padronanza di se.
    Ora, il metodo Vitoz porta non solo alla presa di possesso di se per se stessi, ma anche alla scoperta di poter agire da se su se stessi.
    In tal modo veniamo a conoscenza che possiamo controllare le nostre sensazioni, i nostri sentimenti, le nostre idee, i nostri atti.
    L’apporto più importante del metodo Vittoz è di fornire all’uomo i mezzi tecnici perfettamente semplici per « l’apprendimento dell’utilizzo del proprio cervello », assicurandogli anche la padronanza progressiva del suo corpo e del suo spirito.
    E’ un’esperienza vitale, una ricreazione di se per se stessi, una marcia verso la libertà …
    E’ spesso indicato come una « psicoterapia di sintesi e di ricostruzione ». Definizione completamente adeguata.
    Insistiamo su questo carattere specifico e fondamentale del metodo Vittoz, in quanto è spesso presentato come facente parte delle numerose tecniche di rilassamento.
    Quest’errore largamente diffuso rivela una conoscenza assai superficiale del metodo ed una incomprensione della sua specificità.
    Poiché, se anche per mezzo del metodo Vittoz si realizza, in effetti, la distensione, il riposo, la calma interiore, questa tecnica porta ben più lontano di questo risultato.

    Dopo questa presentazione, nei prossimi post, andrò ad esaminare e presentare più a fondo le caratteristiche e i pregi di questo metodo.


    (1) Dottor Roger Vittoz, Traitement des psychonévroses par la rééducation du contrôle cérébral.